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Reumatologia

Reumatologia

La fibromialgia è ancora oggi una patologia misteriosa la cui diagnosi è tuttora complessa. Vediamo come mai.

Durante una visita medica in cui comunico al malato la mia diagnosi di fibromialgia, arriva inesorabile la domanda su quali possano essere le cause. Potrei dire che “non lo so”, rischiando di aumentare l’ansia del paziente per l’incertezza su che cosa sta accadendo.

In realtà molto si sa sulle strade che portano allo sviluppo di questa malattia “misteriosa”; ridurre tutto a problemi relativi allo stato d’ansia o ad una depressione sarebbe superficiale e poco rispettoso del malato, che non ha una malattia psichica. 
 
Molti pazienti presentano invece nel loro passato un’altra storia di dolore cronico che ha preceduto l’insorgenza del dolore diffuso. Altri raccontano di traumi fisici a cui correlano l’insorgenza del dolore in modo molto chiaro, temporalmente collegato; anche traumi psicologici emergono spesso tra la pieghe dei racconti. Infine molti altri riportano di soffrire da lungo tempo di disturbi del sonno. 
 
Oggi giorno sappiamo che non tutti possono ammalarsi; molti studi hanno scoperto un’aggregazione familiare per la quale si è potuta ipotizzare una predisposizione genetica alla fibromialgia. In questa situazione di predisposizione e con gli stimoli sopra citati può generarsi una fibromialgia, come una malattia in cui il nostro “sistema di difesa” dal dolore va in tilt.
Noi tutti abbiamo infatti un sistema che ci permette di differenziare i vari stimoli che riceviamo dall’esterno e dal nostro interno, in dolorosi e in non-dolorosi. Il problema è che chi ne soffre avverte come esageratamente reale un dolore che potrebbe invece essere modesto o addirittura un non-dolore.
 
A completare l’opera, si aggiungono molte variabili che aggravano la percezione del dolore e soprattutto la sua interpretazione personale. Così uno stato d’ansia o la presenza di un umore deflesso o peggio di una depressione possono rendere più critico, apparentemente più intenso, il dolore stesso. In alcuni casi il cosiddetto catastrofismo soggettivo rende la cura un’avventura difficile e piena di delusioni.  
 
La non-accettazione di questa sindrome rappresenta spesso un altro scoglio contro il quale i terapeuti devono combattere. La terapia, farmacologica, fisica, psicologica, su alcuni degli aspetti descritti non può fare molto, ma su molti altri può essere efficace nel ridurre la sofferenza del malato. E’ su questi aspetti che è indispensabile che curante e curato creino un’alleanza terapeutica positiva, che porti all’impegno personale di ciascuno, per la ricerca del miglior percorso per combattere il dolore cronico.
 

 

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