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Neurochirurgia, la sindrome del tunnel carpale

Neurochirurgia, la sindrome del tunnel carpale

Formicolio alle dita, sensazione di mano fredda o impacciata, talvolta dolore: tutti sintomi che aumentano durante la notte e si attenuano solamente muovendo la mano o immergendola in acqua.

I segnali del tunnel carpale possono essere dei disturbi irritativi caratterizzati da formicolio alle prime tre o quattro dita della mano, associati a sensazione di mano fredda, impacciata, talora anche a dolore, che aumentano nel corso della notte e si attenuano con i movimenti di scuotimento della mano, cambiamento di posizione e l'immersione della mano in acqua.
 

Quando possono insorgere i primi sintomi della sindrome del tunnel carpale?

Di solito compaiono in donne in età meno-pausale, per il venir meno dell’effetto protettivo ormonale, oppure in età più precoce a causa di trattamenti medici inibitori di tali ormoni o di menopausa chirurgica (con l’asportazione delle ovaie).

La maggioranza dei pazienti è quindi di sesso femminile e di età medio-avanzata, anche se una STC può manifestarsi in soggetti maschi (meno del 10 % del totale) anche molto giovani per cause lavorative (uso continuo di attrezzi che affaticano la muscolatura della mano e dell’avambraccio), quali meccanici, macellai o addetti all’edilizia. In una percentuale ancora più bassa di questi vi sono poi delle malformazioni congenite.
 

Perché i sintomi peggiorano durante la notte?

Non è completamente noto, ma sembra che sia legato all’ulteriore abbassamento dei livelli ormonali femminili che provocherebbe un ulteriore rigonfiamento del legamento carpale e la compressione nel nervo mediano. Al contrario, i soggetti dove la malattia non è legata a tali cause (lavoratori maschi) riferisco invece un esacerbarsi del dolore durante l’attività lavorativa manuale giornaliera.
 

Col passar del tempo, se la patologia non viene trattata, peggiora?

Successivamente alla fase irritativa neurologica e ad una distanza variabile da alcuni mesi ad uno o due anni, compaiono invece i segni deficitari, la cui espressione più comune è la perdita della forza di prensione della mano, soprattutto per i piccoli oggetti. In tali casi la perdita di contatto con l’oggetto e la sua caduta sono causa di grande preoccupazione per il paziente. Questi disturbi sono determinati dalla sofferenza delle fibre più grosse e resistenti del nervo, che in un primo tempo avevano resistito alla compressione, e che portano gli impulsi nervosi per una parte della muscolatura della mano (flessore e opponente del pollice).

La perdita della funzione muscolare porterà quindi all’atrofia di questi muscoli, che ben vedremo osservando la scomparsa dell’eminenza thenar, cioè quel rigonfiamento muscolare che normalmente è posto alla base del pollice del lato palmare della mano.
 

Quali sono quindi i trattamenti?

Durante la fase iniziale della malattia è d’obbligo provare con il riposo funzionale della mano, aiutato anche da un bendaggio notturno con stecca, cortisonici per via generale, neurotrofici (farmaci che rafforzano la funzione nervosa), polivitaminici di gruppo B.

Le terapie mediche vanno associate ad un ciclo di cure fisiche, quali la ionoforesi, il trattamento rieducativo posturale della mano, la laserterapia percutanea.
Esse hanno lo scopo di migliorare la vascolarizzazione del nervo e di trovare idonee posture volte a ridurre la compressione sul tronco nervoso.

Controversa è invece la terapia infiltrativa locale con cortisonici (mai comunque con preparati oleosi per ritardare la dispersione del farmaco), perché l’infiltrazione eseguita da mani non esperte potrebbe danneggiare ulteriormente il nervo o perché, secondo alcuni, il cortisone rallenterebbe poi la guarigione di un’eventuale ferita chirurgica che si rendesse necessaria. Un tentativo isolato di questo tipo può tuttavia risolvere drammaticamente il dolore notturno e può dare benefici anche per molti mesi.
 

Quando ricorrere alla chirurgia e quanto l’intervento influisce sulla quotidianità?

La chirurgia è sempre l’ultima arma, soprattutto perché una buona parte dei pazienti trova già beneficio nei trattamenti di tipo conservativo. È invece d’obbligo, nei soggetti a rischio, dove il dolore si dimostri resistente alle cure o quando vi siano segni di rapida progressione verso l’atrofia muscolare.

In caso di incertezze terapeutiche, l’elettromiogramma tronculare (un esame strumentale che permette di esaminare le condizioni del tronco nervoso periferico mediante impulsi elettrici a bassissima intensità inviati attraverso la cute) ci permetterà di decidere sull’indicazione chirurgica.
Essa va considerata quando vi sia un rallentamento importante della velocità di conduzione delle fibre nervose, quantificabile in una riduzione del 50% o meno della normale velocità di conduzione del nervo, che usualmente è di 55 o 60 metri al secondo.

Il trattamento chirurgico è oggigiorno abbastanza standardizzato e consiste in un’anestesia locale nella piega della mano (simile a quella fatta dal dentista per gli interventi dentari), la cui durata è di circa due ore. Grazie ad un bendaggio morbido è possibile fin da subito usare la mano per piccole necessità (guida, sostenere una penna o un foglio) e dopo soli 8-10 giorni, una volta rimossi i punti di sutura, il paziente tornerò alla normale quotidianità.
 

Vi sono nuove tecniche chirurgiche?

Il procedimento è attualmente standardizzato verso una chirurgia mini o micro invasiva e non sono previste importanti modificazioni della tecnica chirurgica.
È anche disponibile un sistema percutaneo a sonda tagliente, che permette un accesso tramite un’incisione di alcuni millimetri. Va tuttavia considerato che, in caso di sanguinamento eccessivo, tale tecnica dovrà essere convertita in un’incisione tradizionale, per poter controllare in sicurezza la perdita di sangue.

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