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Il presente e il futuro della fecondazione assistita: 40 anni di amore in provetta

Il presente e il futuro della fecondazione assistita: 40 anni di amore in provetta

Cosa è cambiato nel mondo della procreazione medicalmente assistita da quando è nata Louise Joy Brown, la prima ‘figlia della provetta’?

Dott. Andrea Borini

Quando Louise Brown venne al mondo i medici che avevano seguito il suo caso suggerirono ai genitori di Louise un secondo nome: Joy, gioia. Di felicità ne ha portata tanta: alla sua famiglia, che finalmente realizzava il sogno di stringere un figlio tra le braccia, ma anche a tante coppie che hanno cominciato a sperare che la diagnosi di sterilità potesse non equivalere alla fine del loro cammino verso la genitorialità. Ne parliamo con il dott. Andrea Borini, direttore del network 9.baby, ginecologo e medico della riproduzione.

 

Quanti passi avanti sono stati fatti in materia di medicina e della biologia della riproduzione in questi quarant’anni?

Ne sono stati fatti moltissimi. Quando è nata Louise Brown, nel 1978, eravamo davvero agli albori della disciplina; se non ci fossero state evoluzioni significative Louise avrebbe rischiato di restare un caso isolato, anziché la prima di una lunga serie di bimbi. Oggi, invece, siamo arrivati ad una situazione nella quale una percentuale tra il 2 e il 3% dei nuovi nati nel mondo sono figli della ‘provetta’, come impropriamente si definiscono sui media i bimbi nati tramite fecondazione assistita

 

Cosa è cambiato invece nelle coppie che si rivolgono a voi medici della riproduzione?

Abbiamo assistito ad un progressivo innalzamento dell’età media delle pazienti, fino a sfiorare i 40 anni: è infatti aumentata l’età di avvio della ricerca di una gravidanza; di conseguenza, ci si accorge più tardi di non riuscire ad ottenerla. 



 

E questo è un problema?

Lo può diventare. Esiste una correlazione diretta tra le possibilità di gravidanze e l’età della donna: quindi, il fatto che si affronti la problematica più tardi rischia di diminuire le possibilità che abbiamo di aiuto e supporto nel percorso verso la genitorialità, nonostante l’evoluzione delle tecniche a disposizione. L’ideale sarebbe far sì di avere un'idea chiara dello stato del proprio apparato riproduttivo in modo tale da poter prendere decisioni consapevoli, in merito alle scelte riproduttive. In ogni caso, noi facciamo ricerca e sviluppiamo protocolli che possano aiutare a superare il maggior numero di ostacoli possibile.


Quali tecniche hanno subito la maggiore e migliore evoluzione? 

In questi 40 anni, ci sono stati affinamenti dei protocolli clinici e terapeutici, i farmaci che prescriviamo hanno migliorato la propria efficacia, il cosiddetto ‘bombardamento ormonale’ è molto più mirato e ha conseguentemente minori effetti indesiderati. Tuttavia la vera rivoluzione - e l’ambito nel quale mi attendo maggiori evoluzioni anche in futuro - è in laboratorio: sono state sviluppate nuove tecniche (dalla ICSI alla diagnosi preimpianto delle anomalie cromosomiche dell’embrione) e, ad esempio,  si è lavorato sui protocolli di congelamento dei gameti che permettono di ottimizzare il cosiddetto ‘time to pregnancy’, cioè il tempo necessario ad ottenere una gravidanza.

 

Quanto si è riusciti ad ottenere in termini di miglioramento dei risultati?

Certo, ogni passo avanti ha fatto sì che le possibilità di realizzare il sogno di un bimbo in braccio siano aumentate, a parità di condizioni di partenza. In particolare, il fatto di poter crioconservare embrioni ci permette di moltiplicare le opportunità di gravidanza alla paziente all’interno del medesimo trattamento, quindi senza dover ripetere stimolazioni e potenzialmente riducendo i tempi per ottenere la gravidanza.

 

A suo avviso, quali sono gli sviluppi potenzialmente più interessanti per il futuro?

Sicuramente quelli legati al laboratorio e alle possibilità, tramite indagini genetiche, di indagare il DNA dei futuri bimbi, sin dallo stadio embrionale: significa poter arrivare a debellare completamente alcune patologie, tramite la ‘cura’ prima della nascita e addirittura prima dell’impianto. Si tratterebbe di uno scenario dai risvolti davvero incredibilmente positivi, che andrebbero ben oltre il semplice superamento dei problemi di fertilità delle coppie. E chissà cosa ci riservano i prossimi 40 anni!

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