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Intervista a Paolo Crepet: il nuovo libro su giovani, scuola e famiglia

Intervista a Paolo Crepet: il nuovo libro su giovani, scuola e famiglia

Lo psichiatra: “Oggi i genitori fanno le stesse cose che fanno i figli. È la fratellizzazione genitoriale che crea il caos dei ruoli che andrebbero invece ristabiliti”.

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Qual è l’atteggiamento peggiore ai giorni nostri? Restare immobili di fronte a cose che sappiamo per esperienza essere sbagliate.
La lezione è quella dello psichiatra e saggista Paolo Crepet, che ammonisce. “Il mondo non prevede nulla di gustoso fuori casa. Quindi i ragazzi, che non riescono a trovare la gioia e la voglia di intraprendenza, rimangono chiusi dentro le mura domestiche.

È una ritirata, o meglio una serrata. Bisogna spronarli, non è che si possa passare loro il piatto di pasta in camera da letto. Un genitore non può favorire questo comportamento. Bisogna riempire la loro vita di contenuto, di modo che possano costruirsi da sé la propria storia e identità, come hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto”.

Il tema dei social ha assunto in famiglia toni drammatici, come affrontarlo?

I social cambiano, una volta c’era Facebook, ora ci sono Instagram, TikTok. Ma presto anche questi diventeranno desueti. Sono destinati ad avere una vita breve, perché fotografano una vita “qui ed ora”. Questa dinamica purtroppo però è diventata anche quella dei giovani, che guardano al domani senza una prospettiva a lungo termine. Diventa sterile per noi adulti prendercela con i social se non agiamo su un'idea di futuro.

Questa distanza tra genitori e figli è un problema di dialogo?

Se siamo così laconici e la comunicazione avviene tramite messaggini whatsapp, non dobbiamo aspettarci grandi intese. Le parole sono scritte, il ragionamento della comunicazione non avviene. Ma è vero altrettanto che è davvero difficile cambiare le famiglie. Si dovrebbe ripartire dalla scuola. Prendiamo il caso dei ragazzi introversi o di quelli che si isolano. Se vanno in una scuola che nel pomeriggio organizza corsi ricreativi, come danza o teatro o altre proposte, c’è più possibilità per loro di uscire dal disagio.

Parliamo di scuola. Che ruolo dovrebbe avere?

Noi genitori abbiamo avuto un’educazione che non troviamo più nella scuola di oggi. Bisognerebbe chiedersi perché una eccellente scuola, che ha dato dei risultati tangibili, sia stata distrutta. A mio modesto avviso andava cambiata, migliorata e non distrutta. La scuola educava anche a conoscere le sconfitte, a far fronte a momenti di difficoltà e di delusione. Bisogna riconquistare una giusta dimensione del tempo, uscire dalla fretta del momento. Io credo che questa generazione smarrita cerchi ragioni per sognare e tornare a sperare. C’è bisogno di parole, di conflitti sani, di visioni che appassionino.

A proposito di lavoro, entrando nella media dei locali pubblici oggi si colgono due cose: i cartelli cercasi e l’età medio alta degli inservienti...

Oggi si parla di lavorare sempre meno, della settimana corta. Si lavora meno, ma in prospettiva si guadagna anche meno. Questo assunto si basa sull’illusione che quanto si riceve come eredità sia più che sufficiente per le prossime generazioni. Dobbiamo chiarirlo noi adulti che si tratta di un equivoco. I giovani vivono di riflesso, non contestano, accettano. In questa condizione di comodo, in cui sei servito riverito, sono già appiattiti. Inoltre teniamo presente che trovare lavoro e voler lavorare sono due cose diverse. Stiamo affrontando in modo superficiale la crisi che sta attraversando il mondo del lavoro. La settimana corta è un emblema di nuove generazioni che si ritirano dalla partecipazione sociale. Questa fotografia dovrebbe far paura, soprattutto nel Nord Est, nel cuore produttivo del paese. Invece viene accettata.

“Prendetevi la luna” è una sorta di manifesto per le giovani generazioni?

Non è solo aver voglia di fare. Oggi il mondo è molto facilitato. Dal visore presentato dalla Apple all’intelligenza artificiale sono tante le innovazioni che stanno stravolgendo la vita delle nuove generazioni, ma non certo a loro vantaggio. Infatti, ci sono ragazzi e ragazze che pensano che il lavoro migliore e giusto in questo momento sia fare lo youtuber oppure l’influencer. Ma chi ha permesso che si affermasse questo convincimento? Se io scrivo questi libri è perché penso che ci sia una soluzione e che questa stia nella parte genitoriale.

Cosa dovrebbero fare allora i genitori?

Dare un’idea di futuro e non cedere alle idee della massa. Prendersi la luna significa dimostrare di essere persone uniche. È innegabile che siamo noi adulti che abbiamo la responsabilità di dare l’esempio: professionisti, politici, amministratori delegati. La riflessione è di tutti. Cercare di trovare un senso, di capire cosa stia succedendo. Per esempio chiedendo ai propri figli se hanno un progetto di vita. Questa è una domanda da fare, ma che un genitore spesso non fa per paura della risposta. Io avrei più paura a non farla.

È da poco uscito il suo ultimo libro e va già fortissimo. Quale messaggio dà?

Incontro tanta gente, mi chiedo che cosa possono volere da me. Certamente una guida, una speranza, forse perfino una luce che accende i cuori di giovani e meno giovani. C’è sete e fame di parole, di pensiero. Cercano un’eresia in un mondo codificato. Non posso che dire loro ciò che mi sono ripetuto per anni lungo il corso della mia vita: “prendetevi la luna”. Siate ambiziosi, cercate la vostra unicità.

Bisogna avere la fronte alta e continuare a sognare. Il pericolo è nella bonaccia delle emozioni, nella rassegnazione, è in chi semina accidia e smarrimento come se fosse la regola del più aggiornato marketing dell’esistenza. Opporsi a tutto questo è il mio desiderio, la mia missione, la ragione per cui continuo a peregrinare nelle piazze e nei teatri. Cerco libertà, passione, coraggio. Il resto è noia”.

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