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La radioprotezione: come evitare i danni delle radiografie

La radioprotezione: come evitare i danni delle radiografie

Nuove linee guida e macchinari evoluti rendono gli esami radiografici sempre più sicuri per il paziente.

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L’esposizione alle radiazioni deve essere sempre valutata dal Medico Radiologo, considerando il rapporto rischio-beneficio e dopo aver escluso la possibilità di ottenere una diagnosi più accurata con metodiche che non utilizzino radiazioni, quali ad esempio Ecografia e Risonanza Magnetica.

1 Come si svolgeva la radioprotezione prima delle nuove tecnologie?

Per oltre 70 anni, nei pazienti che si sottoponevano a tali indagini, è stata considerata una buona pratica radiologica “schermare” le gonadi (o eventualmente il feto, nella donna gravida) al fine di ridurre la dose di radiazione in tale distretto corporeo “sensibile” per non danneggiare le cellule riproduttive o il prodotto del concepimento.

Attualmente, l’utilizzo delle schermature (camici, grembiulini, o para-gonadi piombate) è addirittura sconsigliato dalle principali società scientifiche radiologiche e dalla Associazione Italiana di Fisica Medica, che hanno recepito un documento del 2020 della Società Nordamericana di Radiologia.

2 Perché sono cambiate le modalità di radioprotezione?

Ci sono diverse motivazioni a fronte di questo cambiamento epocale: le principali riguardano i progressi tecnologici delle apparecchiature radiologiche che sono dotati di sistemi automatici di riduzione della dose e una migliore comprensione delle conseguenze dell’interazione tra raggi X e corpo umano.

Le moderne apparecchiature radiologiche, infatti, sono dotate di un sistema di regolazione della dose che come una sorta di “intelligenza artificiale” modula la quantità di radiazioni, riducendola al minimo necessario ad ottenere una immagine diagnostica, a seconda del differente distretto corporeo, e quindi allo “spessore” anatomico che deve attraversare.

Anteporre al distretto da studiare un elemento piombato induce l’apparecchiatura ad erogare più radiazioni, percependo tale schermatura come un effettivo ostacolo. Quindi paradossalmente la porzione anatomica vicina alla schermatura verrà maggiormente irradiata, e si otterrà non un risparmio, bensì un ulteriore aggravio della dose erogata.

Le radiazioni assorbite inoltre, una volta all’interno del nostro organismo, in minima parte vanno incontro a fenomeni di “scatterizzazione”, cioè di rimbalzo, per cui raggiungerebbero comunque – pur in quota ridotta – la regione che noi schermiamo a livello cutaneo: su questo fenomeno non possiamo intervenire in alcun modo.
La schermatura piombata infine tende comunque a nascondere in parte l’anatomia del distretto in esame o generare artefatti che alimentano incertezze: ad esempio la schermatura delle gonadi in una radiografia del bacino di un Paziente pediatrico potrebbe ostacolare la visualizzazione delle anche e quindi rendere necessaria una nuova esposizione per dirimere il dubbio, con conseguente doppia dose di radiazione.

3 Quali sono le ricerche scientifiche a supporto?

Altro dato riguarda la migliore comprensione dell’interazione tra radiazioni ionizzanti e corpo umano, suffragata da numerose evidenze scientifiche accumulatesi negli anni, che ha ridimensionato i rischi derivanti dall’esposizione ai raggi X delle gonadi e del feto.

Un contributo importante, ad esempio, è emerso studiando quanto accaduto nelle popolazioni sopravvissute alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki: in tali soggetti, sottoposti sicuramente ad una dose di radiazione alle gonadi nettamente maggiore rispetto a quella utilizzata a scopi medici, non si sono osservate mutazioni genetiche trasmesse ai discendenti con frequenza superiore alla popolazione non esposta, contrariamente a quanto si pensava sarebbe successo.

Allo stesso modo per quanto riguarda l’esposizione del feto ai Raggi X, i pericoli sono stati ridimensionati. Addirittura recentemente i collegi americani di Radiologia ed Ostetricia/ Ginecologia hanno affermato che “tranne casi eccezionali, l’esposizione alle radiazioni che avviene mediante Radiografia, Tac, ed indagini di Medicina Nucleare comporta un assorbimento di dose nettamente inferiore a quello necessario a produrre un danno fetale”.

L’insieme di queste considerazioni sopra espresse ha portato quindi a ridimensionare l’utilizzo delle protezioni piombate durante l’esecuzione di indagini radiologiche: il beneficio sarebbe praticamente nullo per il paziente, a fronte del rischio di un potenziale aumento della dose erogata.

Il documento recepito dalle principali Società Scientifiche raccomanda quindi programmi di “formazione” specifica dei Medici e Tecnici di Radiologia, al fine di saper comunicare efficacemente la corretta pratica radiologica, e dirimere i dubbi dei pazienti stessi, che vivono da sempre con ansia e timore l’esposizione ai Raggi X: ricordiamo che la maggiore fonte di rischio per la salute non è tanto legata alla dose erogata durante un esame radiologico, ma piuttosto all’esecuzione dello stesso quando non sia strettamente necessario (esposizione nongiustificata).

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